In un inverno degli anni ’70 fu spedito al mio paese un uomo.
L’uomo di giù
Si dicevano di lui cose non belle.
E per questo l’avevano mandato al Confino.
Gli fu dato come alloggio l’ex ambulatorio dei bambini, fra il negozio della signora che vendeva cappelli e l’esattoria comunale.
Proprio sotto l’ufficio del Signor Sindaco.
Proprio sotto le classi delle scuole elementari, di fronte al circolo acli, alla panetteria della Giovanna, al campanile, e a tre passi dalla piazza.
Proprio sotto agli occhi di tutti.
Come porta una vetrata ed una tenda bianca per preservare l’intimità nel suo alloggio.
Niente cucina.
Del suo nutrimento fu incaricata la sagrestana – e chi l’ha conosciuta sa con quanto amore possa aver svolto questo compito. 🙂
Quel pezzo di via, per molto tempo, fu meta di passaggio. Continuo.
Gli unici a cui l’uomo di giù non interessava eravamo noi: i bambini.
In quegli anni i miei genitori erano i proprietari del bar del paese.
Proprio quello affacciato sulla piazza.
Proprio quello con i tavolini fuori.
Proprio quello di fronte al municipio.
E forse fu perché, nel prendere il caffé, mi vedeva tutti i giorni.
O forse fu perché legò la mia estrema timidezza con la segretezza del compito da svolgere.
O forse fu per caso, che il Signor Sindaco, scelse me bimba di 10 anni, come tramite tra l’uomo di giù e l’istituzione.
Io certe parole non le avevo mai sentite, ed il concetto confino era rappresentato dalla linea nera scura tracciata sulla cartina geografica che divideva il Piemonte dalla Valle d’Aosta, dalla Liguria, dalla Lombardia. La Francia era già un paese molto, troppo straniero.
Rimpicciolita ad un tavolo del bar, seduta davanti un succo di frutta, di fronte a me tre maschi adulti. Il babbo mi parlò:
Il Signor Sindaco ed il Maresciallo ti chiedono se sei capace di scrivere una lettera per l’uomo di giù, e di leggergli la risposta quando arriva. Sei capace?
Già il mio babbo era un omone grande e grosso, già non avevo confidenza con lui e mi incuteva soggezione, sentirlo parlare in italiano, era cosa talmente fuori dall’ordinario! Se poi andiamo ad aggiungere la figura del Signor Sindaco e del Maresciallo in divisa! Cosa avrei mai potuto rispondere!
Si babbo, lo so fare, dissi con un filo di voce.
E così fu.
Io e l’uomo di giù ci incontrammo da soli nello spazio/ ambulatorio.
Per ogni settimana di un anno intero.
L’uomo di giù dettò lettere piene d’amore per sua moglie ed i suoi figli.
Io
Le scrissi
con minuta grafia di bimba.
Frasi che parlavano di nebbia, distanza, della voglia di tornare.
Sto bbene.
Sto.
Mangio.
Caldo dove dormo c’è.
Lavare mi lavo.
Ti penzo.
Tieni i figli bbene.
Di che babbo torna.
Che gli vuol bbene.
Alla prima lettera ricevuta fu comandato un caffé per il municipio. Mi guardavano. Io minuscola con il vassoio in mano. Loro si aspettavano risposte da me.
La moglie e i figli hanno scritto a lui e non a voi. Sono cose personali.
Per
Ogni settimana
Per tutto il lungo inverno.
Non portai più caffé in municipio.
Forse la mia disobbedienza civile è iniziata li.
Toccante. intima.
Una frase mi ha colpito “…legò la mia estrema timidezza con la segretezza del compito da svolgere.
E ancora: la moglie e i figli hanno scritto a lui… non a voi… sono cose personali.
In questa epoca di parole urlate, condivise, spesso offensive, mi sembra questo un elogio alla riservatezza.